Identità digitale

La Suprema Corte di Cassazione, ha definito: “l’identità come il complesso delle risultanze anagrafiche, che servono ad identificare il soggetto nei suoi rapporti con i poteri pubblici ed a distinguerlo dagli altri consociati.”
Oggi, nell’era digitale, si è creato il nuovo concetto di “identità digitale” definita dal Decreto SPID, che lo definisce “rappresentazione informatica della corrispondenza biunivoca tra un utente ed i suoi attributi identificativi, verificata attraverso l’insieme dei dati raccolti e registrati in forma digitale”.

Anche la “Dichiarazione dei diritti in internet definisce il diritto all’identità. L’art.9 stabilisce che: “1. Ogni persona ha diritto alla rappresentazione integrale e aggiornata delle proprie identità in Rete. 2. La definizione dell’identità riguarda la libera costruzione della personalità e non può essere sottratta all’intervento e alla conoscenza dell’interessato. 3. L’uso di algoritmi e di tecniche probabilistiche deve essere portato a conoscenza delle persone interessate, che in ogni caso possono opporsi alla costruzione e alla diffusione di profili che le riguardano. 4. Ogni persona ha diritto di fornire solo i dati strettamente necessari per l’adempimento di obblighi previsti dalla legge, per la fornitura di beni e servizi, per l’accesso alle piattaforme che operano in Internet. 5. L’attribuzione e la gestione dell’Identità digitale da parte delle Istituzioni Pubbliche devono essere accompagnate da adeguate garanzie, in particolare in termini di sicurezza”.

E’ possibile, che uno stesso soggetto, abbia o “crei” diverse identità digitali, oppure può divenire un anonimo, disattivando le proprie tracce personali, assumendo quelle altrui. Tale fenomeno origina il cd. “furto di identità digitale” , in termini tecnici “ identity theft”.

Tale fenomeno si rende possibile soprattutto nei social, con la creazione di account falsi di soggetti estranee all’interessato, sia perché sono gli stessi utenti che non si accorgono di non custodire od espongono nel web le proprie credenziali di accessi, a chiunque, favorendone così il libero “saccheggio”.

Utilizzando procedimenti di social engineering, gli utenti ignari vengono indotti ad eseguire azioni finalizzate al furto delle credenziali di accesso oppure all’ottenimento delle informazioni e dei dati di natura personale da utilizzare per l’accesso a sistemi informatici, sostituendosi, di fatto, alla vittima. La presenza imperante dei social networking consentono l’interazione tra amici, (che forse amici poi non sono), scambiando informazioni e dati sensibili, che possono attrarre attività malevoli in diversi livelli, contravvenendo alle normali buone condotte di sicurezza.

Nell’ordinamento italiano, tale fattispecie è stata ricondotta al reato di cui all’art. 494 c.p. relativo alla sostituzione di persona, secondo il quale: “chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome o un falso stato ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica con la reclusione fino ad un anno”.

Ne deriva pertanto che il furto o la sottrazione di dati personali, porti a dei riflessi inaspettati, ed anche spiacevoli, nella vita di un individuo, che ignaro di ciò che sta accadendo a sua insaputa, vede macchiata o persino distrutta la propria immagine “digitale”, conseguentemente la “web reputation” è immediatamente infangata ed amplificata nell’intero mondo virtuale.

Tale fenomeno può essere evitato attraverso il monitoraggio dei propri dati personali presenti in Internet, attraverso appositi strumenti dedicati, che tengono costantemente aggiornati i dati personali e ne esaminano i mutamenti ed eventuali modifiche sia negative che positive. Tale attività dovrà essere compiuta da specialisti del settore, che operino sinergicamente a livello informatico e giuridico.

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